Marino Solfanelli
UN AMORE NELLA BUFERA
(Tabula fati, 2012)
Una strana storia, non quella raccontata da Solfanelli, ma quella scritta nei libri di storia dove la “verità” è una sola, quella dei vincitori. I buoni sono schierati tutti da una sola parte e i cattivi tutti dall'altra. Meglio non aggiungere altro in merito visto che nel nostro democratico e libertario paese si è liberi di esprimere solo i luoghi comuni ma guai a non accettarli o evidenziare qualche altra “verità”.
Una storia d'amore di un giovane di Chieti nella bufera di una guerra mondiale e, ancor peggio, civile. Alla radio aveva ascoltato il Maresciallo d’Italia Rodolfo Graziani che parlava d’onore da riconquistare, di «stringere il pugno intorno alla spada per cancellare la macchia della vergogna, con la quale l’infedeltà e il tradimento hanno deturpata la bandiera d’Italia.»
Si sentiva tradito anche lui da coloro "dell’armiamoci e partite". Da coloro che in sordina erano fuggiti lasciando un popolo alla deriva: certamente non sentendosene parte e rappresentante. Sentiva anche il suo onore deturpato e da riconquistare: si arruolò volontariamente.
Tanti, troppi morti attorno a lui, persone: essere umani. Senza voce, senza forze ritornava nella mente una canzoncina “A noi la morte non ci fa paura”, una magra consolazione a tutto quel freddo, una grossolana esorcizzazione della paura, della morte “ci si fidanza e ci si fa l’amor, se poi ci avvince e ci porta al cimitero s’accende un cero e non se ne parla più”. Era troppo forte la luce di quell'onore per arrendersi “Qualcuno arriccia il naso vorrebbe biasimar ma noi non si fa caso si tira a camminar (…) Vogliam morire tutti crocefissi, per riscattare un’ora di viltà”.
“Una vicenda su cui riflettere, soprattutto da parte di chi con troppa facilità esprime condanne irrevocabili, dimenticando che dietro gli avvenimenti della storia ci sono le vite di uomini e donne che, pur nella diversità dei convincimenti, non possiamo che chiamare fratelli e sorelle”, si legge sul retro del libro di Marino Solfanelli.
Un bel libro da leggere e regalare. Perché la verità non può essere una pillola offertaci da ingerire con un sorso d’acqua ma è un qualcosa a cui ci si avvicina informandosi non smettendo mai d’attingere informazioni da fonti diverse, perché la vera dittatura è quella che ostacola la libertà di pensare. (D.F.)
“Una vicenda su cui riflettere, soprattutto da parte di chi con troppa facilità esprime condanne irrevocabili, dimenticando che dietro gli avvenimenti della storia ci sono le vite di uomini e donne che, pur nella diversità dei convincimenti, non possiamo che chiamare fratelli e sorelle”, si legge sul retro del libro di Marino Solfanelli.
Un bel libro da leggere e regalare. Perché la verità non può essere una pillola offertaci da ingerire con un sorso d’acqua ma è un qualcosa a cui ci si avvicina informandosi non smettendo mai d’attingere informazioni da fonti diverse, perché la vera dittatura è quella che ostacola la libertà di pensare. (D.F.)
I RACCONTI DEL CAVOLO
(Tabula fati, 2002)
"-Vaffanculo, signor giudice...- Il pubblico esplode in una clamorosa risata, il Giudice solleva di scatto la testa e gli occhialini gli scivolano sulla punta del naso, afferra il campanello e lo scuote per intimare il silenzio; si rivolge minaccioso alla difesa (...) -è l'espressione che il mio assistito (...) -Vaffanculo, signor giudice...- -Ci risiamo avvocato- - ...è una figura retorica, una litote, come dicono i letterati, che esprime un'idea mediante la negazione del suo contrario. Per esempio: io ti dico di andarci perché so che tu non ci vai..."
Questo breve passo è tratto da Il Processo uno dei nove racconti che compongono questo delizioso libro, probabilmente ambientato nel teatino, probabilmente con forti accenti autobiografici, che ti strappa spesso un sorriso e che spesso ti costringe a riflettere.
Ed ecco schiudersi dinanzi al lettore il mondo della piccola città, di questo microcosmo vera e propria cartina di tornasole del mondo, con la sua umanità brulicante di individui preda ora della paura instillata dalle malaccorte parole di un amico, come in Furto al supermercato, ora della struggente nostalgia per un passato ormai compiuto, come L’uomo dalle stampelle, ma anche del caos cittadino sapientemente orchestrato ed organizzato dai vigili urbani, come in La città verboten, o addirittura la fede illusoria, evanescente e sempre delusa nell'astrologia, come ne L’oroscopo. Con mano lieve ma decisa Marino Solfanelli mette bonariamente a nudo le debolezze e le piccole meschinità umane che, nonostante le roboanti petizioni di principio di tanti nostri politici, non conoscono bandiere di partito, ostinandosi anzi ad allignare con più tenacia proprio in quegli animi dai quali la fede politica dovrebbe da sola provvedere a scacciarle. Nasce così l’amaro Il creditore del terzo giorno, la cui vicenda sembra smentire l’illusione che la fratellanza ideologica e l’amicizia possano mai essere più forti dell’interesse economico. Un racconto molto intenso pur nella sua disadorna semplicità, e che tuttavia nel finale secco e sorprendente pare additare un’umanità ancora possibile, un’umanità che metta una volta per tutte in ombra le facili etichette con le quali gli individui vengono catalogati come insetti, svelando al tempo stesso quella che il grande Pirandello chiamava la vita nuda. (Giuliana Cutore).
LU CIOCCHELE
(Tabula fati, 2002)
Lu Ciòcchele, raccolta di poesie dialettali. Quattro poesie di un grande personaggio.
LU CIOCCHELE
di Marino Solfanelli
Quand'ere nu bardasce
e pensave a lu destine
me le raffigurave
gne nu ciòcchele de latte
nghe dentre sogni e lacrime
speranze a mille a mille,
sospiri
progètte d'avvenire.
Nu ciòcchele rutulate
a forze di spintune
tra zumpe d'allegrie
lunghe la via maestre:
la vija dell'avvenire.
Dentr'a che la latte
ci avè messe tutte:
lu culte di li murte,
la Patria, la famije,
l'amore pe lu prossime,
lu timore di Dio.
E daje a dà zampate
pe rutularle a monte,
'ddo fisse avè lu sguarde,
de là dell'orizzonte,
'ddo steve lu traguarde.
Diceve lu puete:
«Gude bardasce, gude ...
ca te n'accòrgi dope!»
come jè putè crede: tenè la vita in pugne,
e quase avesse dette:
«su monne quanta custe,
jè quesse me l'accatte».
«Gude bardasce ... »
Me la ricorde ancora,
e j'avesse date rette,
avesse gudute allore.
Pecché da cche lu ciòcchele
l'unghe na strada triste
a forze de zampate
si n'è scite tutte:
sogni, speranze, progetti per l'avvenire.
La Patria è diventate na bagasce,
la fede s'è slabbrate a li cunturne;
mo c'è rimaste sole
na lacreme, nu suspire
e lu ricorde de la mamma morte.
Mo s'arrucele ancore
lu ciòcchele sfasciate
lunghe na discese raffazzunate;
se porte le speranze
e lu destine,
e nen zo chiù jè
che tire le zampate.
Marino Solfanelli (17 settembre 1925 - 26 gennaio 2014)
Iscritto all'Albo dei Giornalisti dal 1957 (Tessera n. 60323), il 23 marzo 2002 ricevette una medaglia ricordo per i quarantacinque anni di iscrizione. Dal 1955 al 1970 fu Redattore Capo della Redazione di Chieti del quotidiano “Il Tempo” dove ruppe l’impostazione tradizionale dando voce ai lettori a scapito delle veline dei palazzi della politica. In tempi diversi collaborò con i quotidiani: “Il Corriere della Sera”, “Il Gazzettino di Venezia”, “Il Mattino di Napoli”, “Il Secolo d'Italia“, “Linea”.
Nel 1961 fondò e diresse, sino al 1995, la Casa editrice Solfanelli, di rilevanza e prestigio nazionale.
Alla fine degli anni Settanta fu uno dei primi in Italia a pubblicare le opere di John Ronald Reuel Tolkien, l'autore de “Il Signore degli Anelli”, nel ambito di una collana sulla fantascienza.
Fondò e diresse diversi periodici fra i quali “L'Alternativa” del Centro Studi Politici e Costituzionali del prof. Giacinto Auriti.
Per oltre cinquanta anni fu editore e direttore dell'Agenzia di informazione “Abruzzopress”. Prima Agenzia di notizie a diffusione settimanale sorta in Italia, negli anni Cinquanta, con la testata “Abruzzo-Molise-press”, trasformatosi in “Abruzzopress” dopo il distacco amministrativo della Regione Molise (1963); per decenni diffuse — per le pubblicazioni abruzzesi sparse nel mondo — notizie di attualità, politica, cultura e tradizioni popolari della nostra Regione. “ABRUZZOpress”, dall'anno 2000 diffuse, con periodicità quotidiana (via e-mail), notizie ad Agenzie di Informazioni (italiane e straniere), Quotidiani e Periodici, Radio-Tv (locali e nazionali), Organi dello Stato, Parlamentari, Amministrazioni, Enti, Associazioni, Partiti. Ha scritto i libri I RACCONTI DEL CAVOLO (Tabula fati, 2002), UN AMORE NELLA BUFERA
(Tabula fati, 2012) e la raccolta di poesie dialettali LU CIOCCHELE (Tabula fati, 2002).
(Tabula fati, 2012) e la raccolta di poesie dialettali LU CIOCCHELE (Tabula fati, 2002).
Chi è Marino Solfanelli? (di Gino Di Tizio)
“Sfioro in fango, e non m'infango”
Forse a lui piacerebbe sentirsi dire, inguaribile romantico, che è uno di quei personaggi che sanno buttare il cuore oltre l’ostacolo... Certamente ne è capace, ma la sua qualità davvero straordinaria mi sembra un’altra: aver conservato certezza negli ideali, fedeltà nelle scelte fatte quando giovanissimo sulla bilancia, in quei tempi difficili, non aveva esitato a mettere persino la propria vita per seguire il suo credo. Lo conosco da tanti anni. Fu lui a chiamarmi, perché scrivessi cronaca sportiva sul giornale “Il Tempo”. Fu ancora lui ad invitarmi ad allargare i miei interessi e ad aprirmi le strade del mestiere di raccontare agli altri fatti e storie che accadono. Un maestro, e per me lo fu, certamente, soprattutto di vita. Era fin da allora personaggio capace di grandi slanci, sempre coerente e sincero, con gli altri e soprattutto con se stesso. Un poeta che, come il grande uccello cantato da Boudelaire, in cielo è bellissimo, ma a terra è goffo e impacciato, Lo impediscono le ali da gigante... Sono passati tanti anni ma non riesco a scorgere in Marino Solfanelli segni di vecchiaia, di stanchezza perché il suo entusiasmo non ha avuto mai cali di tensione e i suoi interessi sono tantissimi. Ha sempre fuori dalla soglia un cavallo bianco che l'attende, e nell'armadio l'armatura... No, non può invecchiare un uomo come Marino Solfanelli! Il mestiere che ho scelto è quello di rendere testimonianza: è il primo e più importante compito di un giornalista, il suo vero ruolo: l'ho imparato proprio da Marino Solfanelli. Ed allora rendo testimonianza della vicenda di quest'uomo che non ha mai avuto percorsi facili da compiere, spesso avversato, in tante occasioni incompreso, a volte persino perseguitato.
È di quelli che hanno scritto la parola Patria sempre in maiuscolo, e questo, ad un punto della storia di questo balordo Paese, era stato persino considerato una colpa. Non ha mai mostrato la viltà di accettare, nemmeno per quieto vivere, situazioni che non sentiva giuste. No, il suo cammino non è stato facile. Ma ha avuto la forza della goccia che scava la pietra ed oggi molti hanno capito il valore dell'uomo. Non credo lo soddisfi, come prima non l'avvilivano le incomprensioni del prossimo. È di quelli che cercano in se stessi applausi e fischi. So comunque che in questa città, che gli ha riservato a lungo indifferenza e incomprensione, sta lasciando orme che non si potranno cancellare. Credo doveroso di questo rendergli merito. Per mia scelta sono testimone: raccontare così Marino Solfanelli è solo rispetto per il mio ruolo. Dalla città di Chieti, la sua città, Marino Solfanelli ha avuto certamente molto meno di quel che ha dato. Come giornalista, prima, quando capo della redazione locale del quotidiano romano “Il Tempo” cambiò radicalmente il modo stesso di proporre il giornalismo che c'era da queste parti. “Prima la notizia, poi i commenti, e solo se necessari” era il suo credo, che andava a recitare in ambienti abituati a ben altro: erano infatti di moda insipide brodaglie, somministrate senza ritegno ai rassegnati lettori.
Poi come editore, capace di dare una impronta originale e validissima fin dall'inizio al suo discorso, man mano ampliato e portato a livelli nazionali e internazionali. Nei primi libri stampati Marino Solfanelli faceva scrivere un motto: “Sfioro in fango, e non m'infango”, era la sua maniera per gridare la sua protesta. Per quel mondo davvero pieno di fango che non aveva mai accettato ed insieme per indicare la sua diversità. In tanti anni la validità di quel grido è restata, ma forse Marino ormai è davvero lontano da quel fango. Si è creato ali totalmente forti che riescono a farlo volare molto più in alto...